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                              Poi abbiamo lasciato la statale e inerpicandoci tra le montagne per una stradina sconnessa, siamo arrivati ad un paesino che dove il tempo sembra essersi fermato, LAHIC, famoso per la lavorazione e lo sbalzo dei metalli. Abbiamo alloggiato in un campeggino all’ingresso del paese. L’indomani ripartiti in direzione di Saki, una cittadina ai piedi del Caucaso con 2 belle cose da vedere: un caravanserraglio e il palazzo del KHAN (1760 circa).

                             Il caravanserraglio  è ora completamente ristrutturato e adesso adibito ad albergo e ristorante. Appena arrivati ci siamo presi un thè e havar (dolce locale simile alla baclava ma aromatizzato alle rose) nella tea room con tanto di barista vestito in costume tradizionale che porgeva subito un narghilé….insomma una trappola per turisti, come dimostrato dal conto pagato! Anche la cena che vi abbiamo consumato non è stato un successo. L’impossibilità di comunicare in alcun modo con i camerieri ci ha fatto scegliere alla cieca dal menù. A me è toccata una zuppa di yogurt e a Pierlu una zuppa di montone hard, con tanto di tocconi di lardo e, asserisce Pierlu, anche con il pelo del montone!

                             Per dormire abbiamo optato per il parcheggio del caravanserraglio, sotto l’occhio vigile del parcheggiatore, unico in città, ci è sembrato, a parlare qualche parola di inglese. Sprecato nel suo ruolo.

 

                             Il palazzo del KHAN è una vera chicca: abbastanza piccolo ma di grande raffinatezza. La sua caratteristica più rilevante  sono le grandi finestre con vetrate coloratissime  ma le trafile non sono in piombo ma in legno. Pare che solo gli artigiani di Saki avessero questa abilità.

                             I 2 museini vicino al palazzo sono invece di una tristezza indicibile: per l’allestimento, per la manutenzione e soprattutto per ….le addette. Il solito stuolo di donnine stanche e annoiate che sono a metà tra lavoratrici e allestimenti museali anch’esse.

                             Ma la cosa più tenera all’uscita del palazzo è stata quella di un vecchietto  accucciato sul marciapiedi con un astrakan in testa e con davanti a sé una “cosa” coperta con un panno rosso. Ci ha fatto intendere che per qualche spicciolo ci avrebbe mostrato la “cosa”…. E voilà, ha tolto la copertina e ne è uscito un lupo imbalsamato che era quanto di più orrido si potesse immaginare. Tutto spelacchiato, con 4 zeppi di legno al posto delle zampe e ,mirabilia delle mirabilie, 2 lampadine al posto degli occhi che il vecchietto azionava armeggiando sotto la pancia dell’animale.

                                          4 agosto

                             Ripartiti alla volta della Georgia, attraversando boschi e prati verdi, dato che tutta la zona è ricchissima di acqua. Avvistata anche una mandria di bufali  che faceva il bagno in una pozza.

                             E infine, a metà giornata, siamo giunti al punto di frontiera con la Georgia, a Lagodechi, un po’ più a nord di “Ponte Rosso”, la frontiera dell’amputazione della Lonely Planet. Più piccola e più dimessa (se possibile) dell’altra, eccelle comunque per inefficienza. Abbiamo aspettato varie ore sotto un sole cocente perché la nostra pratica doveva essere svolta da qualcuno che al momento non c’era e non si sapeva quando sarebbe tornato…. Così nell’attesa abbiamo avuto modo di osservare la gente che transita per le dogane di terra e che, chi frequenta solo gli aeroporti, non ha la possibilità di conoscere. Quasi esclusivamente povera gente  per di più offesa e vilipesa dalle “autorità”. Donne e uomini con sacchi di granaglie che passano da un paese all’altro (famiglie divise dal confine?) trattati con arroganza dai poliziotti che per giunta pretendono mazzette. Ogni passaporto che veniva allungato conteneva una banconota. Forti coi deboli!

                           UZBEKISTAN                                  segue pag 15