Segue il numero 4

Lasciata Budapest il nostro viaggio è proseguito verso sud per dare un’occhiata alla Puzta ungherese, di cui mi risuonava in testa il nome direttamente dai libri di testo scolastici. Ma in realtà ormai il paesaggio semidesertico del passato è quasi completamente scomparso. Grazie alle irrigazioni queste terre sabbiose sono state in gran parte coltivate. Solo una parte rimane a pascolo, quindi ancora dedita all’allevamento (moltissime le oche) e pastorizia. Pare che d’estate si possono

raggiungere qui temperature altissime ma noi, grazie ai recenti temporali, abbiamo trovato temperature molto più umane.

 

Quindi ci siamo rimessi in cammino verso nord-est e in una giornata siamo arrivati al confine con la Romania.

La prima città che abbiamo incontrato appena varcato il confine è Satu Mare. Che come altre città del luogo (Baia Mare, ad es.) non ha niente di marino: Mare è il termine rumeno per indicare “ miniera”. Tutta questa zona è infatti ricca di minerali.

La differenza con l’Ungheria balza subito agli occhi. Mentre là era tutto ordinato, pulito, organizzato, con standard di vita decisamente europei, qui è sciatto, cadente, malandato. Le strade sono la prima cosa che ci colpisce: dopo il confine comincia subito una teoria di buche, rabberciamenti alla come viene che terminerà solo alcune centinaia di km più tardi! Anche l’edilizia colpisce. C’è un gran fervore costruttivo per cui s i vedono a fianco alle povere case tradizionali un gran numero di nuovi edifici, spesso di un cattivo gusto sconfortante… pare sia dovuto al gran numero di emigranti (3 milioni su una popolazione di 24) che appena può utilizza i propri risparmi nel costruirsi la casa. Ma appena ci si allontana dal confine e ci si dirige verso nord, nella zona del Maramures, al confine con l’Ucraina le cose cambiano. Qui il tempo sembra essersi fermato, e non è un trucchetto per incantare i turisti. E’ una zona rurale in cui la gente vive ancora come viveva 70 anni fa. Vivono in graziose casette di legno, (anche se spesso necessiterebbero di restauro) e in alcuni paesini appendono le pentole colorate su un albero,fuori della casa. Molte  case sono precedute da un imponente e bellissimo cancello di legno  intagliato che sembra spropositato rispetto alla casa…ma sembra che sia una antica tradizione localesembra che sia una antica tradizione locale. 
 

 Le provviste di legna avvolgono le case…perché gli inverni sono piuttosto duri! Gli animali domestici vivono accanto alla abitazione.La gente si sposta con carretti trainati da cavalli, miete a mano l’erba per fare il fieno e l’ammucchia in pagliai che in gran numero punteggiano il verde paesaggio. Le donne portano abiti tradizionali: una camicetta e una gonna larga, con filza in vita, alla lunghezza del ginocchio e un fazzoletto in testa.  E, visto che non spiccano per l’altezza, questo dà loro un buffo aspetto da matrioske. Tappeti e biancheria ingombrante vengono lavati al fiume. Si respira un’atmosfera molto rilassata…ma mi rendo conto che quello che all’occhio di un turista può sembrare molto romantico, in realtà è una vita di dura fatica!

Pare che anche durante il regime di Ceausescu questa zona non sia stata collettivizzata. Così la popolazione di qui ha continuato la sua vita arcaica; il comunismo è arrivato e se ne è andato…. e loro non si sono accorti di niente!

La cosa più di pregio che racchiude la zona è sicuramente la serie di antiche chiese di legno. Si tratta di chiese datate tra il 1600 e il 1800, spesso con guglie svettanti e con all’interno cicli di affreschi eseguiti su tela poi incollata al legno. Quelle di maggior pregio sono quelle di Budesti, Calinesti e Ieud. Molto simpatico anche il modo di visitarle: si bussa ad una casa vicina e compare una donnina con gonnellino al ginocchio e grossa chiave di ferro. E inizia una spiegazione in rumeno di cui qua e là si capta qualche parola. Si paga un biglietto o si dà un’offerta (sempre tra i 50 cent. e 1

euro). I luoghi dove sono situate queste chiese sono di solito un po’ discosti dal paese e spesso molto suggestivi. Il paragone con le stavkirken norvegesi è inevitabile.

Una rinascita economica di questi luoghi potrebbe partire dalla valorizzazione di questo meraviglioso patrimonio artistico

 

Sempre nel Maramures si trova il Cimitero Allegro di Sapanta, invenzione di un   abitante, evidentemente un buontempone, che nel 1935 iniziò a scolpire su legno, che poi colorava, lapidi “burlone”: un’immagine del defunto colto nelle attività tipiche svolte durante la sua vita e poi una specie di biografia umoristica. I suoi compaesani accettarono la sua proposta e il risultato è sorprendente. Si entra in quel cimitero con leggerezza, esorcizzando il senso della morte, respirando un’atmosfera quasi pagana. –Stan Patras, questo è il suo nome, scolpì anche la propria lapide.

Oggi l’allievo di Patras continua il lavoro del maestro. Riceve anche  molte ordinazioni dall’estero, inclusa l’Italia. Pierluigi stesso è stato tentato dall’idea di farsene fare una!

Dalla zona di Maramures ci siamo spostati verso est e siamo entrati in Bucovina, una bella regione a cavallo dei Carpazi famosa per i suoi stupendi monasteri ortodossi, dipinti anche all’esterno. Abbiamo visitato i più importanti: Sucevita, Moldovita, Humourului, Voronet. Quasi tutti risalgono al 1400/1500 e gli affreschi ricoprono sia le pareti interne che esterne. Hanno una forma che ricorda l’arca di Noè. Con un tetto con gronde molto sporgenti, forse per riparare gli affreschi dalle intemperie. Tutti sono circondati da mura e dalle curatissime abitazioni delle suore. Questi monasteri valgono da soli il viaggio.

Siamo quindi scesi verso sud entrando in Moldovia. Anche questa zona è cosparsa di monasteri, questi affrescati solo all’interno e gestiti per lo più da frati. Sono meno pregevoli degli altri ma sono ubicati in bellissime posizioni, tra boschi e circondati da fioritissimi giardini. Rasca, Sihestria, Neamt, Agapia e Varatec sono i loro nomi.

Dalla Moldovia  abbiamo ripiegato verso ovest e siamo entrati in Transilvania.
 

 Siamo passati attraverso le suggestive gole di Bicaz e poi ci siamo fermati al lago Rosiu, formatosi a fine ‘800 quando il fianco di una montagna è caduto nella valle sottostante ostruendo il corso di un fiume e formando quindi una sorta di diga naturale. La sua caratteristica è quella di essere punteggiato da spezzoni di tronchi per tutta la sua grandezza, evidentemente ciò che rimane degli alberi sommersi. Il risultato è un paesaggio inquietante che immagino assuma un aspetto quasi sinistro in periodi di nebbie e brume.

Da qui abbiamo proseguito per Sighishoara, la città natale di Dracula.

Ma in questa parte del viaggio vale la pena di parlare di un bell’incontro con una coppia di Bucarest.

Mentre stavamo visitando il monastero di Sucevita siamo stati infatti “abbordati” da questa coppia, Florin e Elena, che ci ha chiesto un passaggio per il monastero successivo. E poi, visto che stavamo facendo lo stesso itinerario, ci hanno chiesto di restare con noi per raggiungere il successivo e così via fino all’ultimo. E poichè a quel punto avevano economizzato sui tempi delle loro visite (loro si spostavano in treno per

le grandi tratte, e poi in autostop per raggiungere i monasteri sperduti), avendo ancora del tempo, ci hanno chiesto di proseguire con noi. Siamo stati insieme fino a SighishoaraSighishoara. Se Elena non avesse dovuto riprendere il lavoro l’indomani sarebbero ancora con noi! La sera loro si trovavano una sistemazione presso qualche famiglia che affittava camere (perché pioveva, altrimenti avrebbero dormito in tenda) e noi dormivamo in camper.   

                                                                                                              Sonia racconta il suo viaggio

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